Poche settimane fa si è concluso il Festival di san Remo, che rappresenta per noi italiani non solo una rassegna di canzoni, ma anche una vetrina per nuovi e consolidati talenti artistici e musicali ed è anche, forse unico nel suo genere in tutto il mondo, un vero e proprio fenomeno sociale e di costume. Dopo il Festival, le radio passano le canzoni presentate durante le serate che poi ascoltiamo distrattamente e ripetutamente fino a farle diventare una sorta di colonna sonora del nostro quotidiano. Eppure, pur immersi in questa musica di sottofondo, mi sembra che il gusto di cantare, o di canticchiare, il motivetto di una canzone, non ci sia più. Già lo notava lo scrittore Mario Rigoni Stern, quando, nel 2008, intervistato per un giornale, diceva “cinquant’anni fa si sentiva la gente cantare. Cantava il falegname, il contadino, l’operaio, quello che va in bicicletta, il panettiere. Oggi hanno smesso. La gente non canta e non racconta più.” Me ne sono accorta anch’io: al mercato per esempio è difficile sentire qualche venditore cantare o richiamare i clienti come si faceva una volta, presentando la merce esposta “decantandola”, appunto, cioè descrivendone le virtù a voce alta, magari proprio cantando. Sentire qualcuno che va al lavoro cantando, o che lavora cantando, è diventato ormai davvero una rarità: forse perchè la nostra società è diventata così triste da non essere più capace di cantare? Il poeta sufi Mewlana Rumi diceva ” Io voglio cantare come cantano gli uccelli , senza preoccuparmi, senza sapere che cosa pensano gli altri di me che canto”, richiamando in questi pochi versi sia la spensieratezza sia la capacità naturale di esprimersi attraverso la voce, la musica e la poesia, ma anche la libertà di poterlo fare, senza preoccuparsi del giudizio altrui. Sono parole che fanno riflettere, in una società dove ormai l’atto del cantare sembra non essere più qualcosa che ci viene spontaneo fare. Eppure le “canzonette”, per parafrasare il titolo di un brano di Edoardo Bennato, non è vero che “sono solo canzonette”, perchè una canzone nel breve tempo di circa quattro minuti può dire tantissime cose. Può parlarci di amore, di felicità, può dire meglio di qualsiasi altro mezzo una protesta, una denuncia, l’espressione più immediata di un valore condiviso. Il critico musicale Mario Leone afferma che ogni popolo ha i suoi cantori, e questi cantori hanno raccontato anime e vite diverse, dalle canzoni più impegnate, perfino di contenuto politico, alle canzoni che venivano intonate dai soldati nelle guerre come i canti alpini, che ancora ci emozionano così tanto. Mario Leone dice ” I canti sono i loro autori ma anche di più: sono il cuore del popolo a cui i cantautori appartengono. Nasce un popolo, nascono dei canti che lo raccontano.” Cantare una canzone è importantissimo ed è anche un atto che assolve delle funzioni importanti: pensiamo alla ninna – nanna, è un canto che è determinante per il nostro sviluppo affettivo, ci tranquillizza da piccoli, ci predispone all’abbandonarci al sonno ed è alla base della nostra capacità di sintonizzazione affettiva. Il canto è presente in tutti i riti li connessi alla vita ed alla morte in tutte le tradizioni di tutte le culture presenti sul nostro pianeta. Ma, oltre all’importanza sociale ed antropologica del canto, il cantare in sè, cantare come descritto da Rumi, senza pretese di performance ma solo per ritrovare il piacere di farlo, presenta degli effetti fisiologici positivi straordinari. Cantare ci fa bene perchè aumenta i livelli di endorfina: di solito dopo aver cantato ci sentiamo bene ; se siamo con degli amici e cantiamo insieme , per esempio in un coro, si favorisce il legame di gruppo, e questo favorisce successivamente nel singolo individuo il senso di appartenenza, la sensazione di non essere solo. Cantare ci fa bene perchè impariamo ad ascoltare la nostra voce, ed attraverso questo, ad ascoltarci davvero, perchè usare la voce produce un aumento della consapevolezza corporea e vocale. Cantare trasforma l’ansia perchè ci aiuta o a distrarci dalle nostre sensazioni angosciate o perchè, ancor meglio, ci aiuta ad esprimere questa emozione in un modo in cui ci sentiamo capaci, acquisendo così un potere di controllo su di essa. Le persone affette da morbo di Parkinson subiscono nel decorso della malattia delle penose limitazioni nel parlare e spesso non riescono più a farsi capire dagli altri riducendo così le possibiltà di comunicare, sviluppando quindi anche una sindrome depressiva. La logopedista Lorraine Ramig ha ideato la tecnica LSTV-Loud che utilizza il canto come strumento terapeutico rispetto a questa difficoltà di articolazione della voce tipica della malattia parkinsoniana. L’atto del cantare è di fatto una respirazione guidata, e respirare è alla base di tutte le tecniche di rilassamento. Uno studio pubblicato da neuroscienziati dell’Università di Gothenburg in Svezia ha dimostrato che cantare coinvolge sia il battito cardiaco sia la respirazione e la postura, e l’accoppiamento di questi fattori provoca fisiologicamente sia un effetto calmante che benefici sulle funzioni cardiovascolari. Del resto, come si dice, cantare fa bene al cuore.
Dr.ssa Silvia Nadalini, psicologa psicoterapeuta, membro della SIMP Sezione di Rovigo