L’arte della metafora e l’arte di riaggiustare

La  metafora è quello che viene definito una “figura retorica”, un espediente dell’arte del comunicare scritto o verbale, con cui chi sta parlando con noi opera un  trasferimento di significato che consiste nel sostituire al termine che normalmente occuperebbe il posto nella frase, un altro termine, la cui “essenza” o funzione va a sovrapporsi a quella del termine originario creando, così, immagini di forte carica espressiva. Nella metafora diamo una immagine immediata che evoca spontaneamente il senso che desideriamo dare in riferimento al contesto. Per esempio, dire “l’alba di un nuovo inizio”, per indicare che qualcosa di nuovo sta nascendo; oppure “oggi mi sento uno straccio”, espressione che spesso ci capita di ascoltare in varianti più o meno tristi e colorite.  La metafora è una figura retorica molto creativa, saperle costruire, anche se spesso ci arrivano in modo spontaneo, è un segnale di buon funzionamento sia delle nostre facoltà intellettive più raffinate, sia, nell’ambito di una relazione, terapeutica o no, di un buon affiatamento, perchè implica il saper riconoscere subito un sistema di significati e contesti condivisi, quindi una certa “confidenza”. L’uso della metafora  è collegato alla nostra capacità di creare delle connessioni di senso dal potere evocativo e comunicativo straordinario, delle vere e proprie immagini viventi che ci rendono in modo immediato qualcosa che spesso sarebbe davvero difficile esprimere o spiegare compiutamente e precisamente. La metafora fà sì che concetti complicati o che non riusciamo a descrivere “arrivino” al nostro interlocutore in modo subitaneo, come delle intuizioni illuminanti su quanto vogliamo esprimere. Il filosofo francese Paul Ricoeur definisce la metafora una “scintilla di senso” e l’enunciato metaforico un “ poema in miniatura”. Secondo Ricoeur la metafora è un evento discorsivo  capace di  ri-figurare la realtà e di scoprire dimensioni nascoste dell’esperienza umana, che trasformano la nostra visione del mondo attraverso lo slancio dell’immaginazione, della creatività, della emozione. Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi , fu un grande ideatore ed  utilizzatore di metafore al fine di far comprendere teorie complesse che tentavano di concettualizzare idee assolutamente innovative per l’epoca. Per esempio, nel libro “Introduzione alla psicoanalisi”, così si esprime: “L’intenzione degli sforzi terapeutici della psicoanalisi è rafforzare l’Io, ampliarne il campo percettivo e perfezionare la sua organizzazione così che possa annettersi nuove zone l’Es. Là dove c’è l’Es, là deve subentrare l’Io. Questa è un’opera della civiltà, come il prosciugamento dello Zuidersee”. Lo Zuidersee era un mare che nel 1916 sommerse, inondandola tragicamente, una vasta zona dell’Olanda. Per evitare che ciò accadesse ancora, fu costruita una diga per  contenere lo Zuidersee, che da allora si chiama Lago d’Ijssel, che significa “Mare Interno”. In questo grande lago furono poi creati dei polder, cioè, delle terre coltivate, e sorge un monumento su sui è scritto “Un popolo che vive costruisce il suo futuro”. Tutto questo è una metafora: la nostra energia incontrollabile ed inconscia, l’Es, che ci travolge e ci spaventa come lo Zuidersee, si può dirigere e contenere verso il “dare frutto”, i polder, cioè, la consapevolezza ( quello che Freud chiama “Io”) e dunque un essere umano che vive davvero è chi coltiva e costruisce sè stesso ed il suo futuro. In un’altra celebre metafora, Freud spiega come è strutturata la nostra psiche. Paragona la mente ad un iceberg: l’attività cosciente (tutte le riflessioni che facciamo, delle quali siamo pienamente consapevoli), rappresenta la punta di un  iceberg (conscio).  La parte più rilevante della nostra attività psichica si svolge però in una dimensione sommersa, non visibile, non immediatamente accessibile, inconsapevole (inconscio). Nella porzione dell’iceberg sulla superficie dell’acqua si collocano i pensieri normalmente non disponibili alla coscienza, ma che possono essere richiamati tramite un atto di volontà (preconscio). Durante una terapia, accade  che tanto i nostri pazienti quanto noi terapeuti utilizziamo metafore. Quando succede a me, di accorgermi che sto usando una metafora efficace o che ascolto  una metafora di un paziente, accolgo questo momento con grande attenzione perchè è un indicatore delle nuove connessioni che stiamo costruendo per accedere all’energia psichica trasformativa. Qualche tempo fa, una paziente mi ha detto, verso la fine del nostro cammino terapeutico, di sentirsi un “kintsugi”. Questa metafora  mi ha colpito moltissimo: il Kintsugi è la tecnica giapponese che ripara gli oggetti  in ceramica, in genere vasellame, usando l’oro  per saldare assieme i frammenti. Il Kintsugi così trasforma qualcosa che è rotto, frammentato, in qualcosa di prezioso, senza però nasconderne, anzi, valorizzandone, le tracce della rottura, metafora del dolore. La metafora utilizzata dalla mia paziente meglio di qualsiasi spiegazione esprime l’idea, condivisa dal Kintsugi e dalla pratica terapeutica, che da una ferita e dalla inevitabile imperfezione della riparazione, possa nascere una forma unica, di ancor maggiore bellezza e ricchezza interiore ed esteriore.

Dr.ssa Silvia Nadalini, psicologa psicoterapeuta, membro della SIMP sezione di Rovigo

Se lo trovi interessante, condividi su Facebook, Twitter o Google Plus.

Lascia un commento